venerdì 9 dicembre 2011

MICHELE ZAGARIA: UOMO NON ESTRANEO ALLE VICENDE CRIMINALI DEL SUD PONTINO

GLI tremò la voce al pentito Dario De Simone quando, nel corso del processo Spartacus, dovette raccontare come lui e Michele Zagaria uccisero, il 21 luglio del 1988, fra Gaeta e Sperlonga, all’altezza del km. 24 della Flacca, Pasquale Piccolo, un ragazzo che aveva meno di vent’anni e che aveva la colpa di viaggiare al fianco di Raffaele Parente, uomo vicino per legami familiari al clan Bardellino.
Per mesi “Capastuorta”, l’ultimo grande latitante dei casalesi da ieri finalmente al carcere duro, guidò la batteria di fuoco che faceva la spola fra Casapesenna e il sud
pontino per dare la caccia agli eredi di Antonio Bardellino e di Paride Salzillo, i perdenti della guerra di camorra che fu combattuta a Casal di Principe sul finire
degli anni ottanta. Non fu l’unica vendetta che Michele Zagaria consumò nella nostra provincia. Secondo la Corte di Assise di Latina, fu sempre lui ad uccidere, il 9
settembre del 1990, nelle campagne di Spigno Saturnia, Giovanni Santonicola, un imprenditore di Marcianise in rapporti col clan La Torre, ritenuto fra i responsabili
dell’omicidio “non autorizzato” di Alberto Beneduce.

È sempre stato un boss spietato, lucido, freddo, col gusto istrionico della provocazione, Michele Zagaria. Fino all’ultimo, Fino a ieri, quando gli uomini guidati da Vittorio Pisani, il capo
del Servizio Centrale Operativo della Polizia, lo hanno scovato in un bunker a poca distanza dalla sua casa di famiglia. Nella stessa zona in cui ha consolidato il suo
potere criminale ed in cui ha trascorso, molto probabilmente, buona parte della sua lunga latitanza.
Braccato dalle forze dell’o rd i n e che per l’ennesima volta demolivano un edificio intero, alla ricerca del nascondiglio della “p ri mu la ro s s a ” di Gomorra, ha invocato a modo suo pietà. E poi ha provato ad accreditarsi come il “generale”
di un “esercito” sconfitto che riconosceva allo Stato, ai “vincitori”, la beffa del suo personale tributo. Non capisce Michele Zagaria di essere un uomo da poco, che ha insanguinato la sua terra e la nostra, a cui non spetta alcun “o n o re ” al di fuori del suo più o meno ampio sodalizio di assassini, estorsori, devastatori dell’ambiente, trafficanti di droga. Sappiamo che già oggi c’è qualcuno pronto ad ereditare la forza del suo nome e della sua rete di legami che, come confermano le inchieste di questi
giorni, coinvolge settori eminenti degli apparati istituzionali e della politica. Lo Stato ha vinto, allora, una battaglia importante, forse epocale, ma molto ancora rimane
da fare per estirpare definitivamente questo cancro della malavita organizzata che, dal cuore dell’entroterra casertano, si è esteso sempre di più, coinvolgendo da
decenni anche la provincia di Latina.
Forse parteciperà, in futuro, ai nuovi processi di camorra che saranno celebrati nel capoluogo pontino per accertare le sue responsabilità in ordine ai gravi episodi
criminosi verificatisi, negli ultimi anni, nel basso Lazio. O forse sarà in grado di sopportare in silenzio, sino al termine dei suoi giorni, “da boss”, il rigore delle
misure di detenzione previste dall’art. 41 bis a cui è destinato. Di vocazione a mistificare, a sfuggire al peso della verità e della giustizia, a delegittimare i
suoi avversari. Le “virtù” di un uomo che non vale un’unghia di coloro che ieri, dopo tanti anni di inseguimento, gli hanno messo le manette ai polsi.
Giulio Vasaturo
(Criminologo Università
La Sapienza)
Da LATINA OGGI DEL 8.12.11

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